Categoria: Storia e Leggende

I Leoni dell’Arsenale

  

L’ARSENALE DI VENEZIA E LA LEGGENDA DEI LEONI

L’Arsenale di Venezia era un posto fondamentale per la vita della città. Era una vera e propria città nella città. Era il luogo che permetteva a Venezia di dominare i mari militarmente e commercialmente. All’entrata militare dell’Arsenale ci sono ben 4 leoni (non uno!) a simboleggiare l’importanza del posto.  Un posto del genere è ricco di leggende. Una di queste narra proprio dei leoni posti a guardia dell’ingresso.
I leoni più grandi sono bottino di guerra e vengono da Atene e portano incise delle inscrizioni runiche. Uno dei due più piccoli viene da Delos, a memoria della vittoria di Corfù nel 1718.
La leggenda è ricca di magia! I protagonisti sono un mago, un eroe ed i leoni… se siete pronti ad ascoltare ve la racconto.
La leggenda narra che nel novembre 1719, dopo una tempesta durata un paio di giorni, furono rinvenuti proprio vicino al portale dell’Arsenale i corpi orribilmente dilaniati di due marinai, uno greco e l’altro maltese… sembravano essere stati straziati da una belva.
Le autorità cercarono di sapere se per caso qualche belva fosse fuggita da qualche serraglio, ma nulla. La gente aveva paura e si cominciò a parlare di magia, dei leoni dell’Arsenale, del luogo. La sorveglianza della zona venne affidata alla Marina (che ancora sorveglia la zona) e al Capitano Enrico Giustinian.
Dopo circa una settimana altra notte di tempesta e un nuovo corpo orribilmente squarciato, quello di tale Jacopo Zanchi, una sorta di perdigiorno, persona poco affidabile come la moglie, prostituta a tempo perso.
Tutte le vittime abitavano poco distanti dal luogo del ritrovamento e quest’altro evento fece aumentare il terrore nei residenti locali.
Un giorno proprio il capitano Enrico Giustinian vide in calle una scenata fra la vedova del Zanchi e un vecchio mercante con fama di usuraio, chiamato Foscaro. La vedova stava insultando l’usuraio che le sibilò “Vedremo dove finirà la tua baldanza la prossima notte di tempesta”.
La successiva notte di tempesta il capitano Giustinian si nascose vicino all’entrata dell’Arsenale e attese di guardia con la sua spada. Passarono le ore e infine, tra mezzanotte e l’una, sempre sotto la pioggia battente e il vento, un arco di fuoco arrivò dalle case vicine e letteralmente materializzò il vecchio Foscaro vicino ai leoni più grandi. Egli girò attorno ad uno di questi, sfiorando con le dita l’inscrizione runica e contemporaneamente pronunciandone il significato in questa lingua misteriosa. In quel momento un globo luminoso si formò sul portale e un primo fulmine colpì il leone seduto che prese lentamente vita, enorme e feroce.
Proprio in quell’istante la vedova del Zanchi, accompagnata da un’amica, girò l’angolo della riva e, mentre un secondo globo con un secondo fulmine colpiva l’altro leone, il primo stava già azzannando ferocemente una delle due donne.
Il vecchio usuraio osservava la scena, impassibile, continuando a pronunciare parole misteriose e toccando le rune. Scossosi dal terrore e dalla nenia magica il Capitano sguainò la spada e colpì il vecchio al petto, proprio mentre un terzo fulmine colpiva il terzo leone.
Con uno spaventoso ruggito e un lampo accecante tutto tornò all’istante come prima: i leoni al loro posto, immobili, l’amica della vedova, morta sbranata, immersa nel suo sangue. Del vecchio rimase solo un cuore di pietra accanto alla spada che era caduta sui masegni.
La testa del terzo leone era ancora viva e ruggiva e si muoveva disperatamente ancorata com’era ad un corpo di pietra, per cui il Giustinian lo decapitò. La testa non cadde ma esplose letteralmente, spandendo intorno una sostanza nerastra.
Le successive indagini dimostrarono che il vecchio era uno stregone ed era stato imbrogliato da Zanchi, per cui aveva voluto vendicarsi. La vedova venne rinchiusa in manicomio perché era impazzita e la testa del terzo leone venne sostituita, come si può vedere ancor oggi.
La leggenda forse è legata a qualche elemento di verità; infatti se andate all’arsenale, osservate il leone grande posto alla sinistra dell’ingresso e cercate le rune: sono ancora lì. Poi andate a vedere il terzo leone, verso il canale… la testa è di un colore diverso!
Vera o non vera, questa leggenda è pur sempre suggestiva e il mistero è comunque intriso in questo luogo fantastico, ricco di elementi antichi e forse (per chi vuole crederci) magici.
Questa è Venezia, ricca di mistero e magia in molti angoli della città. Le sue leggende possono vedere, toccare e magari, chiudendo gli occhi, rivivere in una sorta di viaggio nello spazio e nel tempo!

L’Arsenale di Venezia

L’Arsenale di Venezia era il cuore pulsante della Repubblica Serenissima che basava i suoi successi sulla potenza navale e sui commerci. Le navi venivano costruite a Castello, all’Arsenale, completamente circondato da mura alte in modo che nessuno potesse spiare all’interno. Il nome “Arsenale”, diversamente da quel che si può pensare, deriva da “arsene” che erano gli squeri dove si costruivano le imbarcazioni.
Pensate che la superficie dell’Arsenale era, ed è, circa un decimo di quella della città di Venezia perché oltre all’Arsenale c’erano pure squeri sparsi in città (uno di questi, il primo e più importante, era ai Giardini reali); da questo si capisce l’importanza che veniva data alla costruzione delle navi.
Immaginate per un attimo di tornare all’epoca della Serenissima, alla fine del 1500, e di passeggiare per la riva degli Schiavoni. La riva era sovraffollata di gente perché era l’imbarco per il mitico Oriente, per la via della seta; il canale d’uscita dell’Arsenale era un continuo vociare dei marinai e delle navi che uscivano pronte a salpare, nuove di zecca, molte per commerci ma anche per fronteggiare il nemico… che allora era costituito dai Turchi. Pensate che ai tempi della battaglia di Lepanto si riuscivano ad armare anche venti galere al giorno! Immaginate che trambusto! Si dice che a regime ci lavorassero tremilaottocento uomini in ottanta cantieri aperti!!! Anche questa è un’immagine indescrivibile.
L’Arsenale era completamente autonomo: oltre alle navi venivano create le vele, le gomene e tutto quanto poteva servire ad armarle. Pensate al formicolare di tagliatori, squadratori, lattonieri, stagnini, fabbri, fonditori, muratori, pompieri, falegnami, calafati, cordai. L’andirivieni di armaioli, maestri d’ascia, tessitrici di vele e filatrici di canapa, magazzinieri, fornai per la produzione del “biscotto”. Dentro l’arsenale c’erano dei forni enormi per sfamare non solo gli operai ma anche per caricare le dispense sulle navi pronte a partire. Una città dentro la città, tutti i mestieri erano presenti.
Immaginatevi ora a camminare dentro i padiglioni (ancora oggi visitabili entrando dai bacini o dalla biennale) dove si assemblavano le galeazze, le galere da trasporto… immaginate la fatica degli uomini a caricare i cannoni, l’odore del legno, della pece, del sudore degli uomini.
L’Arsenale di Venezia era il pulsare della città, senza di esso Venezia non sarebbe diventata un impero. L’arsenale dava lavoro non solo a Venezia ma anche a tutto il territorio in terra ferma. Pensate al legno che veniva utilizzato per costruire le navi! Arrivava in laguna via acqua. Tronchi di faggio, abete, rovere, larice trascinati dai battellieri fin dal Cadore, dal Cansiglio, dal Montello ma, si dice, anche da Istria e Dalmazia.
Pensate all’organizzazione che c’era dietro, alle menti che gestivano queste enormi quantità di materiale; pensate però ai mezzi di allora (non c’era Internet, computer o cellulari per gli ordini). Capacità gestionali incredibili! Tutto gestito ovviamente con ferrea disciplina perché la Serenissima non si poteva permettere che la macchina si inceppasse. Non ci si potevano permettere ruberie: ai ladri venivano tagliate le mani, si bruciava un occhio a chi non sorvegliava con dovere, si impiccavano gli imbroglioni. Tutto veniva registrato e scritto nelle lapidi ai muri del cantiere con data, reato e sentenza… come monito. Metodi duri che oggi fanno inorridire. Ma la macchina doveva funzionare.
Il luogo vale la pena di essere visitato e, grazie a recenti restauri, compresa la torre dell’Arsenale, è anche molto ben conservato. L’attuale “Darsena Grande” un tempo era divisa in due darsene più piccole (come si vede dall’immagine) per avere più spazio dove costruire le galee.
L’accesso alla darsena non è così semplice e diretto: si accede o entrando dalla Biennale visitandola, o dalla fermata Bacini cercando di entrare dal varco pubblico in cui c’è un bar e una piccola mostra fotografica sulla storia dell’Arsenale.
L’imponenza e le dimensioni sono ancora oggi incredibili.

I Barbacani

Barbacani

Nel mondo il barbacane (o barbacana) è una struttura difensiva medioevale, che serviva come opera di sostegno, rinforzo o di protezione aggiuntiva rispetto al muro di cinta o alla fortezza vera e propria. I Veneziani, viaggiatori, osservavano e portavano in città queste invenzioni rivisitandole. E da questo nasce la genialità! Queste strutture di sostegno vennero reinventate in modo intelligente per le case veneziane, ma non come opere difensive bensì per allargare gli spazi abitativi senza restringere le calli che di per sé erano già strette.

I barbacani sono in pratica delle travi, in legno o pietra, che emergono al primo piano rispetto la facciata dell’edificio. In questo modo il primo piano e tutti i piani superiori possono usufruire di una superficie utile maggiore rispetto a quella disponibile a pian terreno.

Allo stesso tempo i barbacani forniscono una protezione dalle intemperie per i pedoni e per le attività commerciali collocate al pian terreno. Geniale!

La Repubblica di Venezia stabilì un limite massimo per la larghezza dei barbacani. I motivi erano essenzialmente due. Il primo era evitare che la distanza tra due edifici prospicienti fosse troppo ridotta perché altrimenti si favoriva la propagazione degli incendi, molto frequenti all’epoca. Il secondo motivo era garantire una sufficiente luminosità e salubrità nel caso delle calli più anguste, evitando di bloccare l’arrivo della luce del sole. A tal fine fu realizzato nella zona di Rialto, precisamente in Calle della Madonna, un “barbacane campione” in pietra d’Istria, tuttora visibile, recante incisa l’iscrizione “PER LA IVRIDICIOM DI BARBACANI”. Questo barbacane campione definiva la misura massima di sporgenza consentita per questo tipo di struttura.

Esempi di barbacani si possono osservare anche a Treviso e perfino a Bologna… l’idea è stata copiata ma gli esempi veneziani sono unici per quantità, qualità e caratteristiche architettoniche!

La foto che segue che raffigura proprio la pietra usata a Venezia come campione è presa dalla pagina http://www.venessia.com/curiosita.htm

Elefanti a Venezia

(AP Photo/Nuova Editoriale)

Era il 26 Luglio 1954. Il circo Togni portò gli elefanti a Venezia.
Ma come far arrivare i pachidermi in un posto adatto senza mettere il pericolo la stabilità dei ponti?
Si scelse campo S. Polo. Arrivarono in treno, poi fecero il ponte degli Scalzi alzando le proboscidi in parata e poi via verso S. Giacomo dell’Orio.
Su questa “avventura” veneziana di altri tempi esiste anche un filmato (http://www.youtube.com/watch?v=6MEwe6XL_ck) girato in 8 mm dal prof. Alviano Boaga; vi consiglio di vedere cosa succede al minuto 2:45!!!
Elefanti a Venezia: situazione impensabile al giorno d’oggi per tanti aspetti, ma allora… era magia.
Le immagini parlano da sole…

Festa del Redentore: La Festa dei Veneziani !!!

Ogni anno, nella terza domenica di luglio, arriva la festa del Redentore, che celebra la liberazione di Venezia dalla peste. E’ la festa che noi veneziani sentiamo come nostra, che i ragazzi aspettano. Tutti ci organizziamo con tavolate, barche addobbate, feste, altane, lumini. Per un giorno Venezia ancora VIVE!
Era il 1576 e da un anno la peste stava decimando senza tregua la popolazione veneziana. Il Senato della repubblica, spinto dal malcontento popolare, decise di ricorrere a Dio e il 4 settembre fu deliberato che, se la città fosse stata salvata dalla peste, sarebbe stata eretta e dedicata una nuova chiesa al Redentore. Pare che dopo solo qualche settimana la peste sparì. Furono quindi subito eletti due Senatori con il compito di trovare il luogo dove iniziare la costruzione della basilica dedicata al Redentore. Furono inizialmente indicati tre possibili luoghi: Campo S. Giacomo dell’Orio – Campo S. Vitale – Isola della Giudecca.
Il 22 novembre del 1576 si decise che l’isola della Giudecca era il sito più consono per l’erezione del tempio votivo, dove i frati Cappuccini avevano la piccola chiesa di S. Maria degli Angeli e si commissionò la chiesa al Palladio.
Si narra che due anni dopo la basilica fosse ancora in fase di costruzione ma che, dovendo il Doge con la Signoria e il clero e le Scuole recarsi alla Giudecca per voto, fu costruito un ponte di barche per consentire anche al popolo di recarsi sul luogo in processione. Il canale della giudecca era infatti troppo largo e i fedeli avrebbero dovuto attraversarlo con singole barche. Per consentire un grande afflusso di persone fu costruito il ponte votivo di barche e da allora, dopo quasi 500 anni… è ancora così!

Venezia, città di commerci, cosmopolita e multietnica

Penserete: “Vaneggi? Commerci ok, ma il resto?” In realtà nel passato Venezia, per l’innato spirito commerciale dei suoi cittadini, ha avuto la capacità di far convivere nella tolleranza reciproca molti rappresentanti di popoli e culti diversi (comunità ebraiche, turche, armene e di diverse origini), considerandoli una fonte di arricchimento del proprio patrimonio economico, politico e culturale. I “foresti” erano accolti a prescindere dalla classe sociale di appartenenza e del loro credo religioso e prendevano parte attiva alla vita della città a vari livelli. Strano vero? Sì, suona strano se pensiamo alla storia moderna.

Il commercio internazionale era il cuore della vita economica di Venezia e in città si sentivano le lingue e i dialetti del mondo. Qui vivevano (non solo transitavano) molti popoli. Venezia era in pratica la New York del XVI sec. e Rialto era Wall Street. Come la New York moderna, a Venezia c’erano i quartieri di diversi popoli: il ghetto ebraico, il fondaco dei turchi, l’isola degli armeni, etc…

Alcuni edifici, chiamati “fondachi” (dall’arabo funduq “casa-magazzino”) venivano riservati alle merci e all’alloggio dei mercanti stranieri. Il 16 agosto 1575, su richiesta dei turchi, il Senato Veneziano decretò di individuare uno spazio loro riservato, come quello degli ebrei e dei tedeschi. Inoltre furono costruiti un bazar e, secondo le tradizioni turche, una piccola moschea e dei bagni turchi.

Ma non solo questo! Venezia era la capitale dell’editoria, faceva leggere il mondo. Grazie al genio di Aldo Manuzio si stampavano libri in molte lingue. Per alcuni decenni Venezia diventa la capitale dell’editoria ebraica: vi si stampano la prima Bibbia rabbinica (1517) e il primo Talmud (1524-25) e per tutto il Seicento le Haggadot (libri rituali per Pesach) multilingue stampate a Venezia se ne andranno in giro per l’Europa. E allora, se Shakespeare ha ambientato “Il Mercante di Venezia” e le vicende di Bassanio e Shylock proprio a Venezia e non altrove, un motivo doveva pur esserci.

E lo sapete che pure il primo Corano è stato stampato a Venezia? Nel 1537-1538 i Paganini, che avevano visto il business di vendere il libro in migliaia di copie agli arabi presenti in città e non solo, stamparono per la prima volta il Corano. Il libro era creduto perso per sempre e fu trovato solo 30 anni fa nell’isola di San Michele. Il libro racchiude molte leggende e ve le racconterò 😎 in un prossimo post.

Gli orologiai di Torre dell’Orologio – Una meraviglia di ingegneria del XV secolo

I Rainieri erano una famosa famiglia di orologiai di Reggio Emilia. Quando nel 1493 la Signoria veneziana decise di sostituire il vecchio orologio a martello nell’angolo nord-occidentale della basilica marciana, i Rainieri si misero al lavoro, costruendo un capolavoro di tecnica e ingegneria tuttora funzionante. Si narra che, come ricompensa per l’eccellente lavoro svolto, fosse stato ordinato che padre e figlio Rainieri fossero accecati per non poter mai replicare l’opera altrove.

Le colonne del Palazzo Ducale

Le due colonne rosa di Palazzo Ducale e la falsa speranza della quarta colonna.
Guardando le colonne del primo loggiato di Palazzo Ducale, si possono facilmente individuarne due di colore differente dove, tradizione vuole venissero lette le sentenze capitali. Si narra però che venisse offerta al condannato un’ultima speranza: sul lato del palazzo che dà sulla laguna è ancora oggi presente una colonna (la quarta cominciando dall’angolo) che appare leggermente fuori allineamento rispetto alle altre. Chi fosse riuscito a girar intorno alla colonna senza cadere dal basamento avrebbe potuto ottenere la grazia. Sembra facile, ma anche appoggiando la schiena alla colonna e provando a strisciare sulla sua circonferenza, c’è sempre un punto critico in cui si perde l’equilibrio. Provare per credere!

Le Cortigiane a Venezia: Donne libere (una storia moderna)

Essere cortigiana nel XVI sec a Venezia significava sottrarsi all’alternativa sposarsi o andare monaca: allora entrambe potevano essere due gabbie!
Non era la Venezia del Settecento, libertina e priva di inibizioni. La città di due secoli prima, invece, aveva una doppia morale e le donne di buona reputazione erano praticamente segregate. Una ragazza da marito usciva di casa per andare a messa. Usciva velata in modo che non si vedesse il viso e accompagnata dai maschi di casa (vi ricorda qualcosa? Non vi ricorda temi attuali?). E anche una volta sposate, «i signori tappano le loro donne tra le pareti domestiche come polli nella stia», scriveva il Croyat. Quindi non ingannatevi se vedete i quadri di allora con donne che mostrano scollature vertiginose, quella era solo la moda. Ma, a parte le usanze familiari, la Venezia della Serenissima era una Repubblica dalle larghe vedute e non ostacolava le cortigiane, anzi.
Fare la cortigiana significava prima di tutto poter disporre liberamente di sé, del proprio corpo e del proprio tempo, leggere e studiare, tutte cose negate anche alle gentildonne di rango più elevato. L’universo femminile veneziano era sdoppiato: da un lato le donne tappate in casa o in monastero, da un altro quelle che avevano visibilità e una maggior dose di libertà, ovvero le cortigiane. Gli uomini facoltosi amavano stare con le cortigiane, non solo per le doti amatorie ma anche perché le cortigiane, che erano donne colte, conoscevano più lingue e suonavano gli strumenti musicali erano quindi una piacevole compagnia….ma questa è un’altra storia che vi racconterò al prossimo post 😉. Non so voi, ma a me le cortigiane stanno proprio simpatiche!!

Il Ponte dei Pugni

Il nome del Ponte dei Pugni è legato ad un’antica tradizione di Venezia , la Guerra dei pugni. Gli abitanti di due fazioni avverse, i Castellani di S.Pietro di Castello e i Nicolotti di S. Nicoló dei Mendicoli, si scontravano a “pugni” sulla parte superiore del ponte. Fino al XVIII secolo i ponti erano sprovvisti di parapetti, quindi lo scopo della lotta era buttare in canale l’avversario.
Vinceva la squadra che riusciva a tenere i suoi uomini sul ponte. Le autorità non ostacolavano la battaglia, anzi. Circa 300 sfidanti per ciascuna fazione si riunivano ai piedi del ponte per combattere con bastoni ma soprattutto pugni! I curiosi erano moltissimi e si affacciavano dalle finestre o assistevano da barche.